sabato 5 dicembre 2009

proposta per una performance "ROMANTICO INCANDESCENTE"

(di El Gloria)

Ingredienti:


1-Un (1) piano verticale, antico di almeno 80 anni, preferibilmente francese, se possibile fabbricato da casa Pleyel, in cattive condizioni, abbandonado per anni in luogo umido, pieno di scarafaggi e magari qualche piccolo topo, con tasti non funzionanti, legno tarlato, rigato (possono anche mancare qualche tasto e/o qualche pedale)

2-Un pianista di formazione classica, di mezz'età, che non abbia raggiunto la fama (e che sia altamente improbabile la possibilità di raggiugerla a causa dell'età e del suo moderato talento) ma con un profondo amore per l'opera di Frederic Chopin e (questo è imprescindibile) che sia Buddista

3-Una partitura dell'Andante Spianato Opus 22 di Frederic Chopin (non importa la data di stampa della stessa)

4-Un recipiente di plastica con beccuccio per versare (bidone) con cinque (5) litri di benzina (senza piombo)

5-Un accendino Zippo

Preparazione:

Il pianoforte deve essere preparato per la performance lasciandolo una settimana alle intemperie, sottomesso alle inclemenze climatiche, qualunque esse siano (il compositore non sarà esigente su questo punto), per quanto possibile su terra umida (può anche essere un patio, ma si raccomanda la terra, perchè il nobilissimo strumento sia in intimo contatto con L'Elementare, e soprattutto il suo legno torni in vicinanza di altro legno vivo)

Performance:

La performance consisterebbe nell'esecuzione completa e con estrema passione della suddetta opera da parte del pianista, dopodichè con grande solennità, dovrebbe aspergere prima il piano e successivamente se stesso, rovesciando circa la metà del contenuto del bidone sulla propria testa, e incendiando nello stesso ordine il piano e se stesso, con l'accendino Zippo

Il performer dovrà rimanere, durante l'acting, seduto in posizione di loto, fino all'estinzione del fuoco

Gli spettatori verranno preventivamente pregati di astenersi dall'applaudire fino a che il fuoco esaurisca completamente sia il pianoforte che il pianista


Nota:

il pianista dovrà indossare un abito da cerimonia, ma preferibilmente di tessuto sintetico e rimanere scalzo, dato che le scarpe sono poco combustibili

martedì 1 dicembre 2009

Te lo canto io, il Natale

Originale e meritoria iniziativa quella di Andrea Bocelli di uscirsene con un disco di canti di Natale, tra l'altro con dei duetti (altra grande novità), ce ne avevamo proprio bisogno.
"Ma... l'anno scorso non l'aveva fatto anche Irene Grandi (per dirne una) un cd con i canti di Natale?"
Ma che c'entra, vuoi mettere, quella è musica leggera, una delle solite deprecabili operazioni commerciali...

lunedì 30 novembre 2009

L'invasione delle ultrafrasi

Elvis has left the building

o qualcosa del genere
da dove è uscita quest'espressione?

"Elvis has left the building!" is a phrase that was often used by public address announcers following Elvis Presley concerts to disperse audiences who lingered in hopes of an Elvis encore. Al Dvorin, a concert announcer who traveled with Elvis throughout the performer's career, made the phrase famous when his voice was captured on many recordings of Elvis' performances. "

ecco svelato il mistero

bene, interessante

so che l'hanno usata anche per annunciare la sua morte
mi piace l'adotterò

dopo morto?
o poco prima?

l'adottero adesso
vi presento la mia frase: "Elvis has left the building!" (siate discreti, è adottata, ma ancora non lo sa)

glielo direte quando sarà più grande

si, ma prima che lo venga a sapere dai commenti delle altre frasi

non ci avevo mai pensato
le frasi che parlano fra di loro
sarebbe come se i numeri si calcolassero fra loro

qualcosa del genere: il due disse al tre: sommiamoci così siamo di più
in definitiva le frasi parlano davvero fra di loro non ci sono dubbi
la maggior parte della gente parla con frasi che parlano fra loro così la gente può mettere insieme comodamente una chiacchierata, formata totalmente di frasi fatte, che hanno risposte precostituite il che evita i silenzi che per molta gente risultano fastidiosi

si, ma...
io ho una una teoria più preoccupante

sì?

in realtà forse le frasi utilizzano gli uomini per comunicare fra loro

come se gli uomini fossero dei veicoli

crediamo di parlare
crediamo di pensare le cose che diciamo
il fatto è che ormai è già stato detto tutto quanto
e a questo punto le frasi sono diventate autonome

forse siamo stati invasi da molto tempo da esseri dello spazio che non avendo sostanza corporea prendono l'aspetto di frasi che occupano corpi per spostarsi ed interagire
quando diciamo "buon giorno" in realtà è una frase che usa quel suono per comunicare con un'altra frase que risponde:" basta che non piova..."
forse NOI con la nostra incoerenza ci stiamo opponendo all'invasione
E' POSSIBILE CHE SIAMO GLI ULTIMI ESSERI UMANI ANCORA NON SOTTOMESSI

"Nada/nulla, l'ultimo baluardo"
porca vacca
interessante
il grande errore dell'umanità è stato pensare che gli esseri che arrivano dallo spazio fossero almeno in qualcosa simili a noi
e invece no
sono suoni
odori

esatto

sensazioni

abbiamo un caso per l'agente Mulder o forse, considerando la nostra età, per il detective Kolchak

il pelato?

non Koyak quello dei lecca-lecca
Kolchak
era un investigatore privato che però incappava sempre in casi paranormali



bene
quindi diciamo che se mi gratto un piede in realtà è l'entità prurito che si sta manifestando...
deve'essere così

otaniburila - IV (e si finisce)

Chi è Otaniburila.
E' d'obbligo a questo punto ricordare, per quanto mi è possibile, l'inconsapevole protagonista: se per quasi tutti i frequentatori di quella classe poteva valere, anche nostro malgrado, l'appellativo di "ragazzi di buona famiglia", il ragazzo in questione era considerato l'estrema sintesi di questa definizione: alto, sempre elegante, dotato di aplomb non comune, si vociferava che fosse conte, ma ciò di cui tutti erano sicuri era che fosse ricco.
Non estraneo a queste valutazioni, faceva la sua parte un cognome (vero) che richiamava esplicitamente una varietà di corindone, pietra preziosa che non poteva non invocare simbolicamente uno status sociale ben preciso; ma incredibilmente tutto ciò non lo rendeva antipatico.
Accolse con un misto di britannico distacco e misurato interesse la proposta dei nuovi soprannomi, nonostante quello che gli era toccato risultasse particolarmente poco calzante. Forse saggiamenente intuì che la proposta avrebbe avuto vita breve, come effettivamente fu, scavalcata da nuove entusiasmanti iniziative.

domenica 29 novembre 2009

otaniburila - III

Fu in quegli anni (pochi ma formativi) presso i barnabiti che Milo incontrò studenti dalle caratteristiche più svariate, dei quali in seguito non seppe più nulla, ma che inevitabilmente arricchirono la conoscenza antropologica dei suoi simili. Ma andiamo al dunque. L'ambientazione è quella del cortile della scuola, durante un quarto d'ora di ricreazione particolarmente noioso; Milo ed alcuni compagni di classe percorrono, mani in tasca, il vialetto che delimita il campo di calcio, nel quale alcuni adolescenti tirano pallonate nella nebbia, richiamandosi l'un 'altro con urla sguaiate.
Il gruppetto di infreddoliti sta per decidere di rientrare in classe, quando vedono un loro compagno particolarmente agitato che li raggiunge di corsa, brandendo nella mano un foglio di carta; questo personaggio di cui non ricordo il nome (e che quindi chiameremo N.R.) è un ragazzino che, perfetto esponente di quell'età che si dibatte per uscire dalla stupidera, come si dice al nord, per entrare in non si sa bene che cosa, è capace di promuovere con entusiasmo qualunque iniziativa di gioco, e di sfornare con solerzia genialità e cazzate senza dar il tempo di classificarle in una delle due categorie.
Ragazzi, esordisce N.R., ho avuto un'idea; potremmo far finta di essere tutti sultani. Ma solo all'inizio, per avere nuovi cognomi. Basta chiamarsi tutti Alì.
L'euforia sta evidentemente divorando N.R. al punto da impedirgli di esprimersi con la dovuta consequenzialità. Il gruppuscolo, disponibile alle novità, si è già animato, ed esorta il compagno a riordinare i concetti.
Adesso vi spiego, riprende N.R., tenendo il foglio all'indietro ed in alto, il testo non raggiungibile dalla nostra visuale, pronto evidentemente a proporcelo nel momento cruciale dell'enunciazione della sua teoria.
Mi è venuto in mente che se fossimo tutti sultani... In effetti, a seguito di una lezione abbastanza seguita sull'Impero Ottomano, l'interesse per quella cultura si era fatta strada fra diversi alunni, o forse solo l'interesse su certe prerogative dei Sultani, come per esempio la possibilità di avere molte mogli legittime, prerogativa, a quell'età, incomprensibilmente considerata vantaggiosa.
Mi è venuto in mente che se fossimo tutti sultani..., forse ci chiameremmo tutti Alì, di nome proprio, invece che Roberto, Fulvio, Milo...
I ragazzi annuiscono, non manca di logica. Allora ho fatto un'esperimento. Ho scritto tutti i cognomi della classe mettendoci davanti Alì e (mostrandoci finalmente il foglio) li ho riscritti tutti al contrario!
Il foglio presenta una prima colonna con i cognomi in ordine alfabetico dei compagni (che non riporterò, per legittima tutela della riservatezza dei medesimi) ed in una colonna a fianco il risultato della trasformazione, ottenuta come spiegato. La lettura avviene con interesse, chi affrontandola con sistematicità e valutando uno per uno i nuovi nomi (Itaibbaila, Ingodebila, ...) chi, come Milo, saltando direttamente al punto della lista che lo riguarda (Ravsemetila, non era male, ha qualcosa di biblico) e valutando poi gli altri alla rinfusa. Attenzione, esalta N.R., alcuni di questi nomi possono anche leggersi come nome e cognome: Ingo Debila, per esempio; il consenso cresce; sì, è bello, prende la parola Milo, che all'epoca sviluppava gia un senso ipercritico non comune, stemperato peraltro da un innato rispetto per le idee altrui, però ho notato che certi nomi, per esempio quelli con il ci-acca, diventano difficili da pronunciare: guarda... Iraihcrecila; è vero, risponde N.R. dopo una breve riflessione, ma se ci fai caso, sembra davvero un nome arabo, da sultano; anche questi, guarda, dice indicando alcune delle righe del foglio: Allib Marbila, Ottib Maigila.
Gli altri componenti del gruppo continuano a commentare la lista: Alletnacila, un pò difficile, Irarrefila, ehi, io divento Isso Rila...
Milo, nel quale forse si poteva già osservare in sedicesimo la tendenza depressivo-pessimistica, ben sviluppata poi con gli anni, ad una certa sensibilità nel riscontrare gli aspetti negativi di qualunque vicenda, attrezzo o persona, assume un'aria dubbiosa: senti, N.R., hai visto che però così tutti i cognomi finiscono in ila, a lungo andare potrebbe diventare noioso; la risposta è più pronta questa volta: è meglio così, se non ci fosse la ila quasi tutti i cognomi finirebbero con una consonante, guarda che brutto, ad esempio: otanibur... tutti gli sguardi si concentrano su quella parola, qualche secondo di silenzio, dopodiche un'esplosione di acclamazioni e risate, pacche sulle spalle: Otaniburila, ripetuto più volte e poi scandito per coglierne la sonorità e le possibili suggestioni semantiche, Otaniburila, da diffondere subito, di corsa il vociante ritorno in classe: la necessità di condivisione dell'adolescenza.

(continua)